L’atteggiamento originario del Pellerossa verso l’Eterno, il «Grande Mistero» che ci circonda e ci avvolge, era tanto semplice quanto elevato. Per lui, esso era il concetto supremo, portatore della massima gioia e del massimo appagamento possibili in questa vita. Il culto del «Grande Mistero» era silenzioso, solitario, scevro da ogni egoismo. Era silenzioso perché ogni parola è necessariamente debole e imperfetta. Era solitario, perché i Pellerossa erano convinti che Esso ci fosse più vicino nella solitudine e nessun sacerdote era autorizzato a intromettersi tra l’uomo e il suo creatore. Nessuno poteva esortare, né confessare, né intervenire in alcun modo nell’esperienza religiosa di un altro.
La «fede» dei «Pellerossa» non poteva essere formulata in dottrine, né imposta a chi non fosse desideroso di riceverla; pertanto, non esistevano né predicazione, né proselitismo, né persecuzione e nemmeno dileggiatori o atei. Presso i Pellerossa, non c’erano templi o santuari che non fossero quelli della natura. Il pellerossa avrebbe ritenuto sacrilego «costruire una casa per Colui che si può incontrare faccia a faccia nelle misteriose ed ombrose navate della foresta primordiale, nel seno soleggiato della natura vergine, o sulle guglie e i pinnacoli vertiginosi di nuda roccia o lassù nella volta ingioiellata del cielo notturno! Colui che si riveste di sottili veli di nuvole, o sul bordo del mondo visibile, dove il nostro bisavolo, il Sole, accende il fuoco del suo accampamento notturno, Colui che cavalca il rigido vento del Nord e soffia il Suo Spirito sulle frangenti brezze meridionali e lancia la canoa di guerra sui fiumi maestosi e i mari interni, che cosa se ne farebbe di una cattedrale meno maestosa?».
dott.ssa Rita Mencarelli